Le Rose di Lyoko - Capitolo 2

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    LE ROSE DI LYOKO - CAPITOLO 2
    Dying_Xana_Symbol_Crop_by_AmeeBelpois
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    «Senza offesa Jeremie, ma non capisco perché sei così euforico»
    La notizia dell’imminente arrivo non aveva scosso più di tanto i Guerrieri di Lyoko e Ulrich lo fissava inespressivo, appoggiato al distributore automatico. Il ragazzo con gli occhiali, ricordando di aver saltato la colazione, si fiondò sulla macchina nella speranza di riuscire a fare incetta di zuccheri prima delle lezioni. Fu Yumi a porgergli una moneta quando fu evidente che il giovane non ne aveva con sé. Il liquido caldo cominciò subito a fumare nel piccolo bicchiere di plastica emettendo un odore che ricordava vagamente quello del cioccolato. Jeremie lo trangugiò in un sorso, scottandosi la lingua e versando lacrime amare mentre la ragazzina dai capelli rossi attendeva al suo fianco, sorridendo sotto i baffi.
    «Quindi... Avremo un altro Einstein al Kadic?»
    Odd era stato il primo a rompere la cappa di silenzio che, pesantemente, era scesa sui ragazzi dopo il commento di Ulrich. Nel frattempo il suo amico, a bocca spalancata, cercava ancora di riprendersi dal trauma del cioccolato bollente: il denso liquido, che aveva bevuto troppo in fretta, gli stava infiammando gola e stomaco e il ragazzo già sentiva le prime fitte doloranti. Maledicendo la sua sorte, fissò di nuovo Odd attraverso le lacrime che già gli rigavano il volto, lacrime che deformavano i contorni e rendevano la vista appannata. Una sottile nebbiolina uscì dalle sua labbra quando riuscì nuovamente a parlare.
    «Altroché! Quando lo conoscerete vedrete che vi piacerà subito». Il ragazzo si piegò di nuovo in due, troncato da un'altra fitta dovuta alla cioccolata, e tossì rumorosamente. Ulrich lo fissava inespressivo
    La ragazza dal profilo orientale lo raggiunse in fetta e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il viso del ragazzo rimase impassibile ma dopo pochi istanti i due si allontanarono dal gruppo, in silenzio.

    Ulrich non aveva nulla contro le famiglia degli altri. Lui e suo padre non riuscivano ad avere una conversazione pacifica da Natale ma per questo il ragazzo non aveva mai accusato altri. Era contento, al contrario, che i suoi migliori andassero d’accordo con i loro cari e cercava sempre di sanare eventuali conflitti. Era anche orgoglioso di suo padre, dell’uomo che era e del lavoro che faceva, ma questo il suo vecchio non lo capiva e continuava a criticarlo e giudicarlo di continuo. L’ultima volta che aveva visto Odd gli aveva gridato contro di essere un buono a nulla, un ragazzo che frequentava cattive compagnie e basta. Cosa ne poteva sapere suo padre? Quando mai aveva parlato con Yumi o Jeremie? Criticava, giudicava e valutava ma lui non sapeva niente, niente.
    Quella mattina non era stato suo padre a chiamarlo, già da tempo non rispondeva al cellulare quando leggeva il suo numero, ma sua madre. All’inizio sembrava una telefonata breve, normale, di quelle che un genitore fa al proprio figlio per avere delle informazioni: gli chiese come stava, se mangiava a sufficienza, se aveva bisogno di soldi od altro. Ulrich era rimasto shoccato dalla premura e dall’amore di sua madre, così diverso dalla freddezza e serietà del suo vecchio. Avevano parlato per qualche minuto, giusto il tempo di salutarsi. Stavano per riagganciare quando nella conversazione si era intromesso il vecchio, Walter Stern. Il ragazzo aveva sentito delle parole, lontane, che rapidamente erano aumentate di tono finchè non aveva strappato il cellulare di mano a sua madre per rivolgersi al figlio, in tono irritato. Non c’erano stati saluti tra loro, non ne avevano bisogno. Non gli aveva chiesto come stava ma perché i suoi voti erano così bassi. Non gli aveva detto che gli voleva bene ma che si vergognava di avere un figlio così sciagurato. Non gli aveva fatto raccomandazioni ma gli aveva ordinato di smettere di frequentare quelle cattive compagnie e dedicarsi a qualcosa di veramente importante. Ulrich lo aveva ascoltato, in silenzio, incapace di rispondere e troppo adirato per riagganciare; aveva sentito sua madre urlare e poi strappare la cornetta dalle mani del marito, l’aveva sentita gridare che gli voleva bene. Allora aveva riagganciato.
    «Ulrich, cos’hai?»
    La voce di Yumi era dolce, ma al tempo stessa decisa. I pugni chiusi lungo i fianchi le davano un’aria da dura, ma gli occhi languidi dicevano il contrario. La domanda che le aveva fatto era inutile: sapeva cosa non andava, gliel’aveva posta solo per rispettare il suo diritto al silenzio, per fargli capire che non era costretto a dirle tutto. Con Yumi era tutto più facile: lei rispettava i suoi silenzi, comprendeva le poche parole ingarbugliate che riusciva a dirle, era una guerriera come lui e comprendeva tutte le sue emozioni.
    Stare con lei era piacevole lo faceva sentire meglio. Lentamente le raccontò della telefonata.

    «Allora, Einstein, che classe fa tuo cugino?»
    Odd aveva aspettato che Ulrich e Yumi fossero abbastanza lontani per riprendere il discorso. Jeremie, del tutto ristabilito dall’incidente con la cioccolata, fissava incantato Aelita che giocherellava con il risvolto dei pantaloni ed impiegò diversi secondi per mettere insieme qualche parola. «Oh, sì» biascicò «Frequenta il Lycée, è all’ultimo anno». A quelle parole il giovane restò a bocca spalancata e anche la ragazza dai capelli rossicci non fu da meno.
    «Scusami tanto amico, ma allora che deve venire a fare al Kadic?» chiese Odd.
    «Non è un po’ grande?» domandò Aelita.
    Fu il turno di Jeremie di prendere un bel respiro prima di iniziare a raccontare tutta la storia.
    «Vedete» spiegò loro «Anthony studia in un Lycée francese all’estero, in Italia, e verrà qui con il programma di scambio culturale».
    Sia Aelita che Odd conoscevano la storia del programma di scambio culturale: era una pratica che il Kadic avviava di anno in anno mandando alcuni studenti particolarmente meritevoli a studiare in scuole francesi all’estero per diverse settimane. Italia, Svizzera, Regno Unito, Norvegia, ogni anno veniva scelto un paese, con criteri sempre diversi. Naturalmente, anche il collegio con cui avveniva lo scambio mandava degli studenti al Kadic, in modo che conoscessero meglio la Città della Torre di Ferro. Jeremie, in particolare, aveva ricevuto una volta una simile proposta, ma nonostante l’approvazione dei suoi aveva preferito rimanere al Kadic. Tutto ciò prima della scoperta di Lyoko.
    «Anthony è riuscito a rientrare nel programma e presto verrà qui da noi» proseguì «Sarà il Kadic ad ospitare gli stranieri, frequenterà le nostre stesse lezioni e dormirà qui come interno!». Solitamente l’avvento di studenti stranieri veniva preso con molta indifferenza: li si riconosceva per il loro modo impaurito di fare, per come si muovessero in gregge, molte volte passavano totalmente inosservati. Ma forse quella volta sarebbe stato diverso, dopotutto non si trattava di studenti stranieri ma di francesi che studiavano all’estero, per di più ragazzi più grandi di loro. Il ragazzo biondo fece un gran sorriso all’amico tirandogli un’affettuosa pacca.
    «E bravo il nostro Jeremie!» commentò «Riunione di famiglia, eh?»
    «Beh... E’ un po’ più difficile la questione...»
    Il volto del ragazzo biondo avvampò leggermente e quando riprese a parlare lo fece in un tono più basso e prudente.
    «Vedete» disse «Anthony non è proprio mio cugino... Mia madre e suo padre erano cugini, ciò fa di lui un mio parente di secondo grado»
    «Wow, che forte! Invece io devo accontentarmi di quelle lagne delle mie cugine...»
    Odd incrociò le mani dietro la testa e si voltò a fissare i suoi due amici che continuavano a parlare, poco distante. «Sapete» commentò con la sua voce acuta «Credo che se non ci fosse stata Yumi il nostro caro Ulrich sarebbe impazzito da tempo!». Anche Jeremie si voltò verso i due, incuriosito: il suo amico dai capelli castani appariva già più calmo rispetto a poco prima; appoggiato ad una colonna sembrava rapito dalle parole della sua compagna, che invece parlava in tono molto serio. «Già» rispose dopo alcuni istanti «E’ un bene che ci sia lei... Non è vero, Aelita?». Il giovane si voltò verso la ragazza dai capelli rossicci, in cerca della sua approvazione, ma lei sembrava non vederlo: i suoi occhi spalancati fissavano qualcosa oltre la spalla di Odd, qualcosa che sembrava terrorizzarla.

    Aelita non si era mai del tutto separata da Lyoko. Dopo che Jeremie aveva digitato il “Codice Terra” per farla materializzare lei aveva iniziato a vivere con loro, nella Città della Torre di Ferro, ma non si era mai separata del tutto da Lyoko. Molte notti sognava ancora il mondo virtuale: sognava la foresta dagli alberi immensi, la banchisa eternamente ghiacciata e, a volte, anche il Settore Cinque pieno di mostri e misteri. Non erano sogni piacevoli, spesso inquietanti, ma le ricordavano un legame mai del tutto troncato: il legame con Lyoko e, di conseguenza, quello con suo padre.
    Ma era la paura che ricordava più di tutto: la paura che aveva provato la prima volta che aveva visto i mostri di XANA, la prima volta che era stata ferita, la prima volta che avevano tentato di ucciderla. Ricordava quanto aveva pianto la prima volta che era fuggita da quelle creature che le sparavano contro raggi color cremisi. Ricordava la paura che l’aveva assalita quando aveva visto brillare negli occhi di William l’emblema di XANA. Ma Aelita si era imposta di essere forte, doveva essere forte per Jeremie, che contava su di lei. Ma qualcosa glielo impediva: un manto che era sceso su di lei lentamente, durante la conversazione, un peso sullo stomaco che si era ingigantito sempre più rapidamente, paralizzandola. Vedeva l’amico davanti a sé, eppure le appariva così distante. Sentiva l’aria mattutina entrarle nei polmoni ed il respiro caldo uscirne, eppure anche un’azione così abituale era divenuta difficile da compiere.
    Poi la ragazza si arrese e smise di respirare. Fu allora che non avvertì più il cortile del Kadic sotto i piedi. Le sembrava di volare, di librarsi in aria leggera come una nuvola. Sentiva che si stava muovendo, ma non sapeva dire verso dove né quanto in fretta. Sentiva le palpebre pesanti, forse aveva chiuso gli occhi, non lo sapeva. Attorno a lei era un turbinio di colori: sprazzi luminosi si davano il cambio con colori più cupi, mentre la giovane viaggiava verso mete sconosciute. Lentamente il turbinio di colori rallentò, Aelita sentì di nuovo la terra sotto i piedi ed i suoi occhi misero a fuoco il settore Foresta di Lyoko.
    Non aveva bisogno di guardarsi attorno per sapere che le nude cortecce degli alberi si perdevano verso il cielo color pergamena. Non dovette voltarsi per vedere gli intrecci di strade verdi che si diramavano sul Mare Digitale né ebbe bisogno che le si dicesse dov’era: conosceva quel luogo come le sue tasche. Davanti a lei stava una Torre, un candido cilindro altissimo che affondava le sue radici nel terreno. Alla base della struttura, il bianco si fondeva al marrone di un enorme tronco dal quale la Torre sbucava, come un delicato albero senza rami. Le radici erano l’emblema del collegamento che esisteva fra tutte le Torri di Lyoko. Un alone bianco, denso, avvolgeva la sommità della Torre. Aelita sapeva che quella era la Torre con ripetitore del settore Foresta, la Torre che collegava la Foresta agli altri settori. Non sapeva come fosse arrivata lì, non riusciva a spiegarselo.
    Poi ci fu una violenta scossa, la terra sotto i suoi piedi tremò pericolosamente, e l’alone bianco attorno alla Torre mutò in un rosso sangue. La ragazza sentì un colpo al petto, come una violenta spinta, e venne scaraventata all’indietro.
    Gli occhi di Jeremie erano a pochi centimetri dai suoi, riusciva a sentire il suo respiro caldo sulla pelle. Era di nuovo al Kadic, nel cortile, attendendo l’inizio delle lezioni. Era di nuovo in piedi, ma il ragazzo la fissava preoccupato. Le sorrise, ma lei non riuscì a ricambiare in alcun modo. Non sentiva freddo, né caldo; non sentiva dolore né altro, non sentiva più niente. Non seppe dire quanto tempo rimase lì, incapace di muoversi o anche solo parlare, ma quando ci riuscì la sua voce era ferma e risoluta. «XANA ha attivato una Torre nel settore Foresta».
    Poi Aelita crollò in ginocchio ai piedi di Jeremie, rossa in volto, e gli occhi gonfi di lacrime si abbandonarono ad un pianto liberatorio.

    Un campanello d’allarme suonò all’interno di XANA, ed uno dei suoi componenti si destò per controllare cosa accadesse. Era stato lui stesso a predisporre quell’allarme, doveva suonare nel caso venisse registrato un'alterazione nelle probabilità di successo delle operazioni che stava progettando. Lui era XANA, ma al tempo stesso era parte di XANA in quanto programma multi agente. L’allarme lo stava avvisando che qualcosa era cambiato in uno dei piani che gli altri avevano progettato. Non ricordava il nome completo del file, probabilmente non era nella sua memoria, ma non aveva voglia di disturbare un altro per ritrovarlo e si lasciò guidare dal link che gli permetteva di accedere al progetto in questione. Registrò un cambio nelle percentuali di successo, il numero “83.70%” brillò davanti ad esso e ne salvò una copia da far visionare agli altri. Sapeva che qualcun altro doveva già essere in contatto, ma in ogni modo avrebbe inviato quel file a tutti gli altri XANA così che potessero decidere quale fosse la mossa migliore da fare. Aveva impostato una ricerca in Rete in modo che i dati si aggiornassero automaticamente, dopodiché aveva programmato quell'allarme nel caso mutasse qualche percentuale. Era stato un lavoro inutile per alcuni, XANA aveva abbastanza memoria da poter eseguire quelle azioni senza bisogno di programmi esterni, ma lui pensava che XANA dovesse mantenere più memoria libera possibile per combattere. In ogni caso un’impennata del genere non l’aveva prevista, effettuò una Ricerca in rete per capire quale informazione avesse provocato un così radicale aumento di probabilità, nel frattempo percepì una presenta attorno a sé e si rese conto che altri XANA erano in ascolto e stavano scandagliando il suo lavoro.

    L’autobus azzurro era fermo davanti i cancelli del Kadic in ferro battuto. Il preside Delmas, immobile al margine della strada, stava controllando alcuni fogli. Jeremie, Ulrich, Odd, Aelita e Yumi, appoggiati contro il muro, attendevano l’arrivo dei nuovi studenti. Le porte del mezzo si erano già aperte ma il direttore, vestito con il suo solito completo marrone, aveva fermato gli studenti che stavano per scendere intimando loro di fare silenzio mentre procedeva ad un ultimo appello. Benchè sulla cinquantina, il preside Dalmas incuteva ancora molto rispetto: era un uomo nella norma, tarchiatello, con folti capelli grigi e barba dello stesso colore. Solo i baffi, misteriosamente, sembravano essersi salvati dall’azione del tempo e, ancora castani come un tempo, gli coprivano il labbro superiore.
    Jeremie, impaziente, lo vedeva sfogliare con lo sguardo i fogli attraverso le lenti dalla montatura trapezoidale. Il giovane non era riuscito a scorgere suo cugino tra i ragazzi sull’autobus ed iniziava a preoccuparsi. «Jeremie» lo chiamò Aelita, al suo fianco «Sei sicuro che sia venuto?». Il ragazzo scosse la testa ed i capelli biondi, un po’ più lunghi di quello che dovevano essere, tremarono. «C’è senz’altro» rispose fiducioso «Me l’aveva promesso!».
    Lo sguardo della ragazza tornò a terra ed il giovane le si strinse vicino: dopo quella mattina, dopo quello che lei aveva visto, avevano deciso di andare alla fabbrica per controllare ma le lezioni erano finite tardi e loro dovevano essere lì per accogliere Anthony al suo arrivo. I Guerrieri avevano comunque promesso che sarebbero andati più tardi alla fabbrica, e tra loro vigeva la silenziosa scelta di non lasciare mai da sola Aelita, almeno finché non avrebbero chiarito la questione.
    Jeremie, dal canto suo, non se lo spiegava: non era la prima volta che Aelita faceva strani sogni, ma quella mattina era apparsa proprio in trance. Se ci fosse stata una torre attiva il suo portatile l’avrebbe segnalato, ma in ogni caso controllare non sarebbe stata una cattiva idea. Dovevano stare attenti: nuovi studenti significavano più rischi, più gente curiosa in giro e forse qualche ficcanaso. Al ragazzo biondo dispiaceva un po’ l’idea ma finché suo cugino fosse stato tra i piedi avrebbe avuto ancora più problemi con XANA.

    I ragazzi "stranieri" erano un gruppetto che a stento arrivava alle due dozzine, tra di loro si potevano scorgere ragazzi di ogni genere. Vociavano, chiacchieravano ed indicavano vie e cartelli, ma la maggioranza di loro puntava alla Torre di Ferro che troneggiava sui palazzi della città. Jeremie saltellava sul posto cercando di scorgere suo cugino nella ressa, ma i ragazzi sul marciapiede erano circondati dall'autobus e da Delmas, che aveva rapidamente ricevuto il supporto di Jim e, stranamente, di sua figlia Sissi. «Ma tu guarda» fu l'ironico commento di Odd «Cosa ci fa qui?». La ragazzina, loro coetanea, si era messa silenziosamente accanto al padre, sfoggiando una maglietta rossa e dei jeans strappati; i lunghi capelli corvini erano tenuti dietro la fronte da un elastico. Nessun altro del gruppo si interessò troppo a Sissi, anche perchè Jeremie aveva trasformato il suo saltellare sul posto in un in un isterico ticchettio, almeno finchè Aelità non gli posò una mano sulla spalla.
    La voce roca del preside risuonò dopo pochi istanti, iniziando a chiamare gli studenti in ordine alfabetico, aspettandosi che essi passassero tra lui e Jim prima di congedarli. Dopo pochi minuti il cognome "Belpois" fu pronunciato nell'affollato marciapiede ed una mano si alzò in segno d'intesa.
    Jeremie si sporse in avanti e gli altri lo imitarono, osservando il nuovo Belpois: era un ragazzo alto, poco più del preside, con capelli corvini spettinati ed occhi castani; aveva lo stesso profilo di Jeremie ma un naso più adunco. Indossava una maglia nera a maniche lunghe e jeans dello stesso colore. Vestiva ancora in maniera semplice, senza dare troppo nell’occhio, come il ragazzo ricordava. «Belpois» lesse di nuovo il preside Dalmas con voce roca «Per caso sei imparentato con Jeremie Belpois?». Il ragazzo sorrise, aveva labbra pronunciate e carnagione pallida. In quel momento Jeremie fece capolinea tra i due, infilandosi semplicemente tra loro. «Sissignore» rispose Anthony con fare militare «Jeremie Belpois è mio cugino». La sua voce era calda e profonda, la stessa voce che il giovane con gli occhiali aveva sentito al telefono la sera prima, la stessa voce che ricordava.

    Una terza persona venne catturata da quella voce: Elizabeth Delmas, che fino a quel momento era rimasta a sognare ad occhi aperti davanti a suo padre, si destò all'improvviso. Era stato il preside a chiederle di presiedere all'arrivo degli studenti, lo reputava doveroso, lei aveva protestato ma alla fine si era arresa, dopotutto era pur sempre suo padre. Quei ragazzi le sembravano una massa di gorilla; più grandi di lei, con voci puerili e pelurie incolte, ma pur sempre dei gorilla. Le ragazze, poi, non erano altro che oche vanitose, bellezze da quattro soldi che non facevano altro che mettere i mostra i loro seni con maglie scollate.
    Ma quella voce aveva un che di dolce, di mistico, le ricordava il caramello che sua nonna le preparava da bambina, quello ambrato con granuli di zucchero. Come si chiamava il ragazzo, "Belpois"? Non era forse il cugino di quell'arrogante di Jeremie? Com'era possibile che fosse così carino?
    Il ragazzo per un attimo la fissò, in parte sembrava incuriosito ed in parte intimidito; Sissi sentì le guance andare a fuoco. Lo sconosciuto esitò, la sua composta posizione si ruppe per qualche istante, ma la voce ferma del preside sembrò riportare tutti alla realtà.
    «Bene» disse «Sei stato assegnato come interno: terzo piano, stanza quattordici. E’ un vero piacere avere un altro Belpois qui». Fu allora che si rese conto che Jeremie si era messo tra i due e fissava suo cugino con occhi pieni di trepidazione. «Ma forse... Sarà meglio che sia il giovane Belpois a farti vedere la tua stanza. Dico bene, ragazzo?».

    Ma i due già non lo ascoltavano più: il ragazzo aveva afferrato Anthony per la maglia e lo tirava verso i suoi amici.
    «Anthony» disse pochi istanti dopo «Questi sono i miei amici. Ragazzi, lui è Anthony Belpois». Yumi, la più alta del gruppo, riusciva a stento a fissarlo negli occhi.
    Fu Odd il primo a parlare, porgendogli la mano. «Piacere, amico!» disse euforico «Io sono Odd Della Robbia!».
    Il nuovo arrivato gli strinse la mano, sorridendo timidamente. Poiché gli altri non furono altrettanto estroversi dovette pensarci Jeremie a fare le varie presentazioni. Anthony sorrise cordialmente sia a Yumi che ad Aelita, ma rimase a lungo a fissarsi con Ulrich. «Lui è Ulrich Stern» spiegò il ragazzo con gli occhiali.
    «Pratichi arti marziali?»
    Era la prima volta che Anthony si era riferito direttamente ad uno del gruppo e il ragazzo rimase alquanto sorpreso da quella domanda. «Pencak Silat» buttò in risposta «Perché me lo chiedi?». Fu il turno di Anthony di sorridere e lo fece sinceramente. «Lascia stare» rispose enigmatico «Io pratico il Taekwondo».
    «Anch’io pratico il Pencak Silat» si intromise Yumi «Qualche volta potremmo allenarci tutti insieme, che ne dici?». Il sorriso del giovane si allargò alla ragazza. «Sarebbe stupendo» rispose.
    «Allora Jeremie» chiese Aelita «Vuoi mostrargli la sua stanza?»
    «Aspetta, prima c’è una cosa che dovrei fare» si intromise Anthony. Tutti rimasero in silenzio a fissarlo e lui si grattò il capo visibilmente imbarazzato. «Devo andare a riprendere la mia moto, è parcheggiata all’aeroporto». Gli sguardi incuriositi si trasformarono in occhiate di meraviglia. «Jeremie» continuò «Mi accompagneresti?». Il ragazzo con gli occhiali fissò i suoi amici in cerca di risposta. «Dai, vai» lo incoraggiò Aelita «Noi... Andiamo a controllare quella cosa e poi ci incontriamo in mensa»
    «Sei sicura che non debba venire con voi?»
    «No, tranquillo, diamo solo un’occhiata»
    «Non preoccuparti» tagliò corto Ulrich «Ci siamo noi!». Gli sguardi si spostarono di nuovo su Anthony, ma il suo volto inespressivo fece capire a tutti che non aveva prestato alcuna attenzione al loro modo di parlare in codice. «D’accordo allora» sospirò Jeremie «Per favore, copritemi voi se mi cerca qualche prof».
    I due Belpois si avviarono in silenzio lungo le strade della Città di Ferro, l’ultimo Sole morente abbracciava i loro profili che presto svanirono dietro l’angolo.

    Camminarono in silenzio per molto tempo; Jeremie era alla continua ricerca di un argomento sul quale chiacchierare ma il ragazzo sembrava assorto nei propri pensieri. «Come mai ti sei portato la moto?» chiese dopo alcuni minuti «Insomma, non potevi lasciarla in Italia anziché farla viaggiare in aereo?». Il cugino lo fissò divertito. «Jeremie» rispose «Il luogo d’incontro con l’autobus era alla stazione, lì il tuo preside ci è venuto a prendere, ma non tutti sono arrivati in aereo. Io, per esempio, sono venuto in moto». Il ragazzo si fermò lungo la strada. «Fammi capire» chiese incredulo «Sei venuto dall’Italia in moto?». Anthony lo fissò indifferente. «Non è un viaggio così lungo» spiegò «C’è un tunnel che passa sotto le Alpi e collega i due paesi; in tutto ci ho messo cinque giorni». Jeremie era ancora shoccato dalla notizia quando arrivarono all’imbocco del parcheggio dell’aeroporto. Davanti ai due ragazzi stava una guardiola con cancello automatico, un uomo in uniforme verde bottiglia li fissava annoiato. «Aspettami qui» suggerì il giovane «Faccio subito». Si avvicinò alla guardiola tenendo in mano un pezzo di carta, l’uomo in uniforme l’afferrò e lo lesse rapidamente, poi annuì e il cancello si aprì. Jeremie fece appena in tempo a vedere quello che sembrava l’inizio di un enorme deposito di auto, poi sentì il cellulare squillare in tasca. Ebbe un sussulto al cuore quando sentì la prima vibrazione contro la coscia, ma la sua ansia aumentò quando vide che sullo schermo era apparso il numero di Aelita. Accettò la telefonata ed avvicinò l’apparecchio all’orecchio. Dall’altra parte la voce di Aelita giunse lontana e disturbata, ma anche frettolosa e preoccupata. La telefonata durò pochi istanti, lei fece solo in tempo a dirle quattro parole. «XANA si è risvegliato».
    Il ragazzo allontanò il telefono dall’orecchio e subito le prime gocce di sudore presero ad imperlarli la fronte. Doveva tornare subito al Kadic: se Aelita lo aveva chiamato significa che gli altri erano andati alla fabbrica. Se Aelita andava così di fretta era perché stava per virtualizzarsi su Lyoko. Ma lui era ad una ventina di minuti da loro, non sarebbe mai arrivato in tempo.
    Poi sentì un rombo, il ruggito di un motore, e si voltò di scatto: Anthony, in sella ad una grossa moto nera, lo stava fissando. Attraverso il casco scuro Jeremie poteva vedere solo i suoi occhi inespressivi. La sua voce gli giunse ovattata: «Dove andiamo?».
    In mano stringeva un secondo casco, il ragazzo con gli occhiali corse verso di lui e l’afferrò salendo sulla moto.


    Cosa sta succedendo ad Aelita? Qual'è il nuovo piano di XANA?
    Non perdete il prossimo capitolo di "Le Rose di Lyoko" dal titolo:

    GUIDANDO VERSO LA TEMPESTA

    Anche un cielo sereno può essere il preludio di un violento temporale...




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